La crisi: nel mezzo delle difficoltà nascono le opportunità
di Claudia Pellegrini
Cosa significa trovarsi nel bel mezzo di una crisi?
Che sia lavorativa, personale, relazionale, economica, di salute… mi sono chiesta cosa significa essere in crisi e quali risorse è possibile attivare per attraversarla veramente? Sì perché facciamo di tutto per evitare una crisi: non la vogliamo, la giudichiamo come qualcosa di negativo, di limitante, qualcosa da nascondere, da non raccontare. Chi è in crisi è pesante, noioso, pessimista, vede tutto nero, vede tutto il resto del mondo andare avanti, vede chiunque più felice, più bello, più appagato, più realizzato. Chi è in crisi spesso soffre. E soprattutto vuole che la crisi finisca il prima possibile. Tornare a una normalità, alla routine, alla sicurezza. Ma è davvero così? Davvero essere in crisi è qualcosa da evitare? Davvero è solo sofferenza?
L’etimologia della parola crisi deriva dal greco Krino che significa valuto, discerno e ha quindi una valenza positiva: un momento di crisi è spesso il primo passo verso la rinascita. Essere in crisi può permettere di attivare molte risorse personali, sia qualità che già possediamo ma utilizziamo poco, sia potenzialità nuove che magari ci sono sempre apparse lontane, difficili o poco affini a noi. Essere in crisi può essere un modo per rinascere, scoprirsi diversi, migliorarsi e in ultima istanza provare a innamorarsi di sé stessi.
Per permettere che ciò accada il primo movimento obbligatorio è però iniziare a perdonarsi. Perdonarsi per quanto fatto o subito, perdonarsi per come siamo, perdonarsi per essere in crisi, perdonarsi per non essere stati capaci di cambiare prima, e anche perdonare gli altri, i torti, le offese, le incomprensioni, le cattiverie. Perdono è una parola molto abusata, viene da un retaggio culturale e religioso che implica una colpa da rimettere. In realtà a livello psicologico il perdono è un movimento interiore che tocca psiche e spirito: con il perdono permettiamo a qualche cosa che la mente giudica come negativa di far parte di noi. Gli permettiamo di esistere dentro di noi ed è un po’ diverso dall’accettare. L’accettare rimanda a qualcosa di rassegnato, a qualcosa che ha a che fare con il subire. In realtà, il perdono è un movimento attivo che prevede che io accolga come parte di me qualche cosa che apparentemente non è buona, che non voglio. Siamo abituati a pensare alla crisi come qualcosa di male: “perché proprio a me”, “la mia vita è rovinata”, “cosa ho fatto di male”, in realtà a volte prima di aver capito il senso più profondo che ha nella nostra vita, con il perdono le permettiamo di essere parte di noi. Tradotto in altri termini se prima abitiamo nel piano di coscienza della vittima, con un passaggio di stato potremmo saltare su un piano di coscienza in cui noi non capiamo fino in fondo il senso di quello che è accaduto, ma tuttavia da qualche parte intuiamo il senso di questa esperienza adatta a rivelarci qualcosa di noi. In realtà la crisi non è mai sbagliata, ma è proprio quella che ci serviva in una determinata situazione a farci vedere dei lati di noi che non riuscivamo a vedere. Quella situazione sta dicendo qualcosa di noi che ancora non vediamo, permettiamo che ci sia – il che è una forma di perdono – è così la lasciamo fluire più in fretta.
Il secondo movimento riguarda la non identificazione con ciò che accade. Non è facile perché quando ci troviamo in una situazione difficile sentiamo tutta la difficoltà nel disciplinare la mente: la tentazione è quella di pensarci, di parlarne, di trovare una soluzione razionale, ma facendo così il problema diventa sempre più solido. Ma se continuiamo a guardare un problema e continuiamo a ripetere di avere quel problema, quel problema rimane. Questo ce lo spiega anche la fisica quantistica. Il mondo delle particelle è un mondo di probabilità che diventano reali solo quando un osservatore le guarda. Lasciamo la presa della mente e la soluzione del problema arriverà molto più velocemente e chiaramente. Non significa non agire. L’azione sarà sempre e comunque necessaria, ma arriverà da un potenziamento interiore e non dalla confusione mentale, dall’impulso o dall’istinto.
Con queste disposizioni di perdono e non identificazione sarà possibile coltivare nuove risorse, dedicarsi maggiormente a sé stessi e agli altri che ci sono vicini in modo differente, forse migliore, in ogni caso rinnovato. E cambiare il nostro interno porterà automaticamente a cambiare la situazione fuori di noi: non si trasforma la propria vita senza trasformare sé stessi.
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